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LE POLITICHE CONTRO LA POVERTÀ IN ITALIA / RAPPORTO 2014
Il rischio che quanto sopra prospettato diventi realtà è presente se si considerano tut-
te le possibili funzioni politiche delle sperimentazioni ed andrà monitorato con attenzio-
ne (tab. 6).
Tab. 6 A cosa servono le sperimentazioni?
DIMENSIONE TECNICO-PROGETTALE DIMENSIONE POLITICA
(FUNZIONE POSITIVA) (FUNZIONE NEGATIVA)
- Se opportunamente valorizzate, possono Possono essere utilizzate in modo strumentale
risultare di grande utilità. al fne di:
- afermare che ci si sta occupando della lotta
- Possono fornire, infatti, numerosi spunti e idee alla povertà, mentre in realtà non lo si sta
per la costruzione dell’infrastruttura nazionale facendo in maniera signifcativa
del welfare locale - rinviare il momento delle scelte
Parlare molto di questi piccoli interventi può
difondere l’impressione che siano in atto azioni
di vasto respiro
4. Le lezioni della realtà
Il capitolo 7 ha presentato i signifcativi passi in avanti compiuti nel dibattito tecnico
sulle politiche contro la povertà. Di particolare rilievo mi paiono il crescente riconosci-
mento della necessità di costruire le migliori condizioni possibili per l’attuazione di una
possibile riforma (da cui la necessità di un piano graduale, accompagnato e monitora-
to) e la condivisione dell’idea che un maggiore intervento statale non comporta neces-
sariamente un”’invasione di campo” nei confronti degli Enti Locali: al contrario, vuol dire
mettere a loro disposizione le risorse e gli strumenti per valorizzare la propria autonoma
progettualità, verifcando le eventuali inadempienze (da cui il concetto dell’infrastruttu-
ra nazionale per il welfare locale).
La maturazione della rifessione progettuale si è intrecciata, durante la crisi, con l’e-
sperienza dei territori che ha mostrato, con la forza dei dati di realtà, perché è urgente un
Piano nazionale contro la povertà.
Tre sono le principali lezioni che la realtà porta nel dibattito sul welfare.
a) Anche il Centro-Nord ha bisogno del Piano, non solo il Sud. Fino al 2007 esisteva una
difusa percezione che il Piano nazionale sarebbe servito fondamentalmente a soste-
nere le regioni meridionali, dove da sempre si riscontrano maggiore disagio e rispo-
ste più fragili. Dunque, si scriveva “Piano nazionale” ma molti lo intendevano come
“Piano di riequilibrio a favore delle Regioni più deboli”. Peraltro, credo che ciò abbia
giocato un ruolo non secondario, a livello politico, nella mancata costruzione di un
forte sostegno alla riforma. Nelle Regioni del Centro-Nord, invece, la necessità di una
riforma nazionale era ritenuta assai meno urgente, grazie a tassi di povertà contenu-
ti, alla crescita degli interventi dei Comuni e alla forza delle realtà del Terzo Settore.
Oggi, la povertà assoluta si è difusa molto anche in quest’area del paese (cfr. cap. 1),
gli Enti Locali sono visibilmente sotto-fnanziati dallo Stato e il mondo del Terzo Set-
tore si trova in difcoltà ad afrontare la mole sempre più ampia di richieste che rice-
ve. Non a caso, i rappresentanti del Centro-Nord sono oggi in prima linea nel richie-
dere un’assunzione di responsabilità da parte dello Stato. 27
27 Cfr. P. Dovis, Piccolo manuale di sopravvivenza per chi combatte la povertà nel territorio, in “Welfare
Oggi”, 2012, 5, pagg. 58-63; R. Lodigiani, E. Riva, Il Reddito di autonomia. Contrastare la povertà in una
prospettiva di sussidiarietà attivante, Erickson, Trento, 2012.
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