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IL BILANCIO DELLA CRISI


siderati “dettagli” rispetto al disegno strategico: ma sono questi “dettagli”, invece, a
determinare in che modo un progetto di cambiamento riesce a realizzarsi e, pertanto,
cosa può signifcare per la vita delle persone;


il superamento della dicotomia tra “Stato Bancomat” e “Stato Iper-Regolatore”: per lungo
tempo le politiche sociali nazionali si sono fondate sulla prassi consistente nel tra-
sferire risorse economiche dal centro ai territori senza accompagnarle con indica-
zioni sul loro utilizzo né con verifche (si pensi alla precedente esperienza del Fondo
Nazionale Politiche Sociali): questo può essere defnito il modello dello “Stato Ban-
comat”. Parallelamente, le proposte di riforma si basavano sull’ipotesi di uno “Stato
Iper-Regolatore”, che defnisse nel dettaglio caratteristiche e modalità d’intervento
del welfare locale. I due approcci e la loro paradossale convivenza, nonostante l’evi-
dente scollamento, rappresentavano, a ben vedere, sintomi diversi della stessa dif-
coltà, quella – sopra menzionata – di afrontare gli aspetti attuativi nel modo oppor-
tuno. Oggi, invece, le proposte convergono nel ritenere che lo Stato debba fornire
poche indicazioni chiare al territorio e monitorarne attentamente la realizzazione
(l’approccio dell’infrastruttura nazionale per il welfare locale). In altre parole, più che
(spesso irrealistiche) prescrizioni, lo Stato deve ofrire le condizioni che permettano
ai territori di costruire al meglio gli interventi, valorizzando la propria autonoma pro-
gettualità;


né interventi emergenziali nè riforme strutturali: le indicazioni su come afrontare la pover-
tà oscillavano, in passato, tra due opzioni. Una è rappresentata dalle misure emergen-
ziali, cioè quelle azioni una tantum, o comunque estemporanee, che producono ri-
sultati in tempi brevi senza intaccare il problema alla radice. Una volta esaurite, non
lasciano eredità alcuna: alla prossima emergenza si ricomincerà daccapo. L’alterna-
tiva sono le riforme strutturali, che vanno alla radice del problema ma non ofrono
risposte tangibili nel breve periodo, dato che, per complessità ed impegno attua-
tivo richiesto, manifestano i loro efetti solo dopo alcuni anni (nel caso siano efet-
tivamente portate a compimento). Ora, invece, sta maturando la consapevolezza
della necessità di coniugare la visione ampia della riforma strutturale con l’urgenza
di iniziare a dare risposte nell’immediato. È la logica di un Piano che parta subito e
introduca gradualmente la riforma, attraverso singoli passaggi collocati in un oriz-
zonte defnito;

la necessaria alleanza tra diritti e sussidiarietà: in un dibattito con forti venature ideologi-
che, questi due fondamentali obiettivi vengono abitualmente presentati come se
fossero l’uno indipendente dall’altro (se non in contrapposizione). Da una parte, chi
promuove la tutela dei diritti – realizzabile solo attraverso adeguati fnanziamen-
ti pubblici – si concentra molto sul ruolo dei Comuni e spesso sottovaluta l’azione
del Terzo Settore nella progettazione e nell’erogazione di servizi. Dall’altra, coloro i
quali insistono sull’importanza della sussidiarietà orizzontale – cioè la valorizzazio-
ne degli interventi provenienti dalla società e dal Terzo Settore – tendono a trascu-
rare la necessità di un adeguato fnanziamento pubblico del welfare. Ora, invece, ci
si sta rendendo sempre più conto che è necessario ribaltare la prospettiva. Diritti e
sussidiarietà non solo non sono indipendenti, ma – anzi – producono i risultati di
cui ha bisogno la popolazione esclusivamente se vengono tradotti in pratica con-
giuntamente, creando un circolo. Non può che essere lo Stato a defnire una misu-
ra contro la povertà come livello essenziale, con i relativi criteri di accesso, e ad as-
sicurarne gli stanziamenti. Per quanto riguarda la progettazione e la realizzazione
dei servizi nel territorio, accanto alla funzione di regia dei Comuni, bisogna preve-
dere un coinvolgimento ampio del Terzo Settore, senza il cui forte ruolo sarebbe


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