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INTRODUZIONE


La metafora delle false partenze


L’ultimo Rapporto di Caritas Italiana su povertà ed esclusione sociale in Italia, pubbli-
cato nel mese di ottobre 2012, aveva come titolo “I ripartenti”. Si trattava di una fnestra
aperta su povertà croniche e inedite, ma anche su possibili percorsi di risalita da tali
situazioni di sofferenza.
La scelta del titolo era legata alla speranza che, ad oltre quattro anni dal crollo di
Lehmann Brothers, l’uscita dalla crisi economica fosse ormai vicina: nonostante l’aggra-
vamento della situazione di molte famiglie italiane e straniere, confermato da una grande
mole di dati, si intravvedeva dal territorio qualche segnale di speranza. Emergeva nel
complesso una grande vitalità delle comunità locali, promotrici di esperienze di ogni tipo
per contrastare le tendenze di impoverimento e marginalità sociale. Allo stesso tempo,
gli operatori Caritas ci narravano di un nuovo desiderio di ripartire, espresso da molte
persone in diffcoltà: afforava la volontà di rimettersi in gioco, l’aspirazione a migliorare
la propria situazione. I benefciari dell’intervento Caritas non si limitavano a richiedere
sussidi economici, beni materiali o protezione per la notte. Ma, con crescente frequenza,
chiedevano anche orientamento a servizi, riqualifcazione professionale, formazione e
recupero della scolarità perduta...
Purtroppo, a distanza di un anno e mezzo da tale pubblicazione, possiamo affermare
senza timore di smentite che la ri-partenza non si è mai compiuta. I “ri-partenti” non
hanno trovato adeguato sostegno, in risposta alla loro disponibilità a rimettersi in gioco.
E più che ri-partenze si sono verifcate “false partenze”: molte persone, puntando all’e-
mancipazione, hanno accettato di rimettersi in gioco, impegnandosi in attività lavorative
non adeguate rispetto alle loro capacità, sopportando situazioni di evidente sfruttamen-
to, sotto-retribuzione, condizioni di lavoro al limite del degrado, ecc.
Al contempo, le vere partenze sono state di altra natura. Pensiamo, ad esempio, alle
partenze dei “cervelli in fuga”. I dati Istat a tale riguardo sono inquietanti: su 18mila dot-
tori di ricerca italiani che hanno conseguito il titolo tra il 2004 e il 2006, quasi 1.300 (il
7%) sono andati all’estero tra il 2009 e il 2010. Si tratta soprattutto di studenti del Nord,
che hanno conseguito il dottorato in giovane età (meno di 32 anni). Secondo Eurostat,
nel nostro paese il saldo tra laureati che emigrano e altri che vengono da noi è negativo:
la percentuale di laureati emigrati è sette volte maggiore di quella dei laureati stranieri
presenti nel nostro Paese. Nei grandi Paesi dell’Unione Europea, tale livello di squilibrio è
presente solo in Spagna. Ma in partenza sono anche i lavoratori italiani, che hanno perso
il lavoro nelle imprese del Centro Nord, e che con il tempo hanno cominciano a fare ritor-
no nelle regioni meridionali di provenienza, dando vita ad un flusso migratorio di ritorno,
inimmaginabile fno a pochissimo tempo fa.
Altre partenze (ma probabilmente senza ritorno), sono state quelle degli immigrati che,
in numero sempre più consistente, stanno lasciando l’Italia per fare ritorno al loro paese di
origine. Il Censimento della popolazione italiana del 2011 non ha ottenuto risposta da ol-
tre 800mila stranieri, risultati irreperibili. Un report dell’Istat sulle migrazioni internazionali
e interne (dicembre 2012) ha registrato la partenza dall’Italia tra il 2002 e il 2011 di oltre
450mila immigrati, di cui oltre 83mila della Romania, quasi 40mila del Marocco e 35mila
cinesi. Nel corso del 2012, sono aumentati del 17,9% gli stranieri rientrati nel loro paese o
trasferiti in altro stato estero. Un’emorragia che l’Istat considera “verosimilmente sottosti-
mata” e che, molto probabilmente, si è andata aggravando nel corso del 2013.
Ma anche le imprese e i capitali sono in partenza. Un numero crescente di imprese
nazionali in possesso di prezioso know how si sono riposizionate all’estero, oppure sono
state a loro volta acquisite e inglobate da imprese straniere.

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